A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta la città di Milano si andò arricchendo di numerose iniziative terapeutico-assistenziali che riguardarono, in una prospettiva interdisciplinare, bambini e adulti.
Nel 1947 Maria Elvira Berrini e Virginio Porta inaugurarono il primo Centro medico-psico-pedagogico, costituito dalla Croce rossa italiana e rilevato l’anno seguente dall’Opera nazionale maternità e infanzia (Onmi). Sulla base di questa prima esperienza, nel 1950 il Comune di Milano istituì a sua volta un Centro medico di psicopedagogia, con l’obiettivo di “provvedere all’assistenza di tutti i soggetti in età infantile e puberale con anormalità del carattere e del comportamento, con difficoltà di adattamento scolastico, famigliare e sociale”. A dirigerlo fu chiamata proprio Berrini, che, dopo aver militato nella Resistenza, finita la guerra si era specializzata in pediatria e si era poi interessata alla neuropsichiatria infantile. Recatasi all’estero insieme alla cugina Marcella Balconi, e più precisamente a Losanna e a Parigi, dove aveva conosciuto Giovanni Bollea, la Berrini era rientrata in Italia con l’obiettivo di rinnovare l’assistenza all’infanzia sul modello appreso all’estero: psicologia e psicoanalisi ne costituivano gli ingredienti fondamentali (lei stessa in quel periodo entrò in analisi con Cesare Musatti). A coadiuvare Maria Elvira Berrini nel Centro comunale, erano Dino Origlia, Jolanda Botti e Marcello Cesa-Bianchi, il quale era anche direttore del Centro medico psicologico di orientamento scolastico e professionale dell’Ufficio comunale d’igiene e sanità, istituito nel 1952 “sulle ceneri” – per così dire – dell’Istituto civico di pedagogia e psicologia sperimentale. Duramente colpito dai bombardamenti alleati dell’agosto 1943, che distrussero gran parte degli apparecchi scientifici e le attrezzature, l’Istituto era riuscito a riprendere le sue attività grazie all’impegno di Casimiro Doniselli.
Specializzato in psicologia alla Cattolica e in malattie nervose e mentali a Pavia, Marcello Cesa-Bianchi insegnava psicologia presso la Facoltà di medicina dell’Università degli studi dal 1956, prima come libero docente, poi come professore incaricato e infine, a partire dal 1964, come cattedratico. Va detto che la cattedra venne sovvenzionata dal Comune di Milano, che s’impegnò inoltre a ospitare l’Istituto di psicologia afferente alla Facoltà di medicina, inaugurato l’anno successivo in una sede comunale (la direzione venne affidata allo stesso Cesa-Bianchi).
In questi anni si cercarono nuove collaborazioni tra psicologia, psichiatria e psicoanalisi, per lasciarsi alle spalle il riduzionismo biologico degli anni del fascismo. Come già avvenuto tra Otto e Novecento, scambi e sperimentazioni avvennero soprattutto nell’ambito infantile. Fu infatti nei Centri medico-psico-pedagogici diretti da Maria Elvira Berrini che la psicoanalisi entrò per la prima volta nei servizi pubblici, come contemporaneamente avveniva nel Centro diretto a Roma da Giovanni Bollea. Nello stesso tempo Berrini, Balconi, Bollea e altri specialisti che si occupavano di bambini portarono avanti iniziative rivolte all’affermazione della neuropsichiatria infantile quale disciplina autonoma e all’istituzione di strutture idonee per l’assistenza e la cura dell’infanzia anormale.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento Milano ebbe un ruolo importante anche nella circolazione delle idee e nella formazione in ambito psicologico-psichiatrico, soprattutto tramite Pier Francesco Galli. Trasferitosi nel capoluogo lombardo nel 1955, Galli si era formato alla scuola di Agostino Gemelli, per poi andare in Svizzera allo scopo di apprendere le tecniche psicoterapiche più all’avanguardia. Sulla base di questa esperienza propose a Gian Giacomo Feltrinelli una collana editoriale che facesse conoscere anche in Italia quanto aveva potuto osservare all’estero. L’editore milanese accettò e nel 1961 prese avvio la collana Biblioteca di psichiatria e psicologia clinica. Progettata fin dal 1959, e diretta in collaborazione con Gaetano Benedetti, ospitò i risultati delle esperienze più originali condotte in quel momento in Italia, alcune delle quali erano maturate proprio in ambito milanese. Tra queste ultime vi erano ad esempio La vita affettiva originaria del bambino di Franco Fornari e L’anoressia mentale di Mara Palazzoli Selvini.
Diego Napolitani si presenta e parla della propria esperienza. Intervista registrata a Milano il 24 marzo 2012 da Antonio Bocola.
Attraverso le suggestioni ricavate dalla lettura dei social studies statunitensi (ad esempio Erving Goffmann, ma non solo) e nel clima nazionale e internazionale di contestazione anti-manicomiale, anche nel milanese si avviarono esperienze che intendevano rinnovare l’approccio assistenziale e terapeutico al disagio psichico. Nel 1968 Diego Napolitani venne chiamato a dirigere il neonato Centro di socioterapia “Villa Serena”, appartenente alla Provincia e adiacente all’Ospedale psichiatrico “Paolo Pini”. Si trattò del primo esperimento milanese di “comunità terapeutica” ispirata al modello scozzese di Maxwell Jones. Per questo progetto Napolitani cercò l’alleanza di Franco Basaglia, ma non la trovò. Basaglia, infatti, nei primi anni Sessanta aveva iniziato la sua opera di smantellamento del manicomio di Gorizia proprio costituendo al suo interno una “comunità terapeutica”, ma a distanza di qualche anno la considerava ormai un’ipotesi superata. Nel 1969 Enzo Morpurgo, nel tentativo di conciliare psicoanalisi e marxismo, influenzato dal pensiero di Wilhelm Reich, portò invece la psicoanalisi tra gli operai, aprendo il Consultorio popolare di Niguarda. Qui gli abitanti del quartiere, prevalentemente ‘tute blu’ e comunisti, ricevevano gratuitamente cure psicoterapiche di stampo analitico da vari terapeuti.
Lo psichiatra Maxell Jones (Immagine tratta da The Consortium for Therapeutic Communities).
Ideologia e pratica della psichiatria sociale di Maxwell Jones (titolo originale Social psychiatry in practice. The idea of the therapeutic community, 1968), pubblicato dall’editore Etas Kompass di Milano nel 1970 con prefazione di Franca Ongaro Basaglia e Franco Basaglia.
Nello stesso periodo a Milano era attivo anche Dario Romano, allievo di Cesare Musatti e suo successore nella direzione dell’Istituto di psicologia dal 1967 al 1972. Favorevole al dialogo con il movimento studentesco, Romano sperimentò nuove forme partecipative di didattica e di ricerca, entrando in conflitto con la componente più conservatrice della Facoltà di lettere e filosofia. Convinto del contributo che le teorie marxiane potevano dare alla psicologia e spinto dai movimenti di contestazione di fine anni Sessanta, introdusse in Italia la prospettiva della psicologia critica di Klaus Holzkamp. In parallelo rivisitò e sistematizzò le teorie della Scuola storico-culturale, in particolare la Teoria dell’attività di Leont’ev, evidenziando il rilevante contributo che avrebbero potuto dare alla ricerca psicologica.
Nato dalle ricerche nel campo della cosiddetta pedagogia non autoritaria, e preceduto da un ‘controcorso’ di pedagogia tenuto dagli studenti dell’ateneo milanese tra il 1968 e il 1969, nel gennaio 1970 venne aperto a Milano l’Asilo autogestito di Porta Ticinese. Animato dallo psicoanalista Elvio Fachinelli, coinvolse circa 18 bambini di età compresa tra i due e i cinque anni e restò in vita fino al 1973. I risultati di tale esperienza furono raccolti nel volume L’ erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola, curato da Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori. Al libro, che presentava gli interventi dei partecipanti e degli organizzatori del convegno sulle Esperienze non autoritarie nella scuola tenutosi a Milano il 20 e 21 giugno 1970, contribuirono “insegnanti, alunni, operai-studenti, psicologi, maestre d’asilo, genitori”.
Nel 1979 la Provincia di Milano fondò, presso l’Ospedale psichiatrico “Paolo Pini”, il Centro di psicologia clinica. Lo scopo era quello di offrire un servizio pubblico in grado di rispondere alle sempre più diffuse esigenze di aiuto psicologico da parte di chi non aveva i mezzi per accedere alla rete professionale privata. L’attività del Centro, che proseguiva l’esperienza avviata già negli anni Cinquanta del Novecento dallo psicoanalista Giovanni Carlo Zapparoli – entrato in analisi con Musatti per poi lavorare all’Ospedale psichiatrico di Mombello –, prevedeva l’integrazione funzionale tra psicologia clinica e psichiatria e lo sviluppo di tre modalità di cura (farmacoterapeutica, psicoterapica e socio-assistenziale), secondo i bisogni dei pazienti.